Intervista con Carlo Aymonino
16 ottobre 1979
Nelle sue diverse relazioni ai seminari annuali sulla sperimentazione vanno vila-via sbiadendo le questioni precise che lei affrontò nella prima relazione del 1976. L'impressione è che dopo un iniziale ottimismo ci si sia poi incastrati in una macchina burocratico-organizzativa. Secondo lei gli obbiettivi all'inizio enunciati: - proposte concrete per il Friuli, Progetto Venezia e Progetto città venete, contributi alla Riforma universitaria,, non sono poi i nodi con i quali capire e gestire effettivamente il ruolo attivo dell'università come servizio regionale e il risultato di una sperimentazione? Ci sono stati dei risultati su questi obiettivi?
La prima domanda mi sembra abbastanza corretta come impostazione. Non c'è dubbio che le prospettive nel 76 erano più impegnative rispetto ai risultati del '79, credo che la questione da mettere in luce sia soprattutto quella della mancata riforma universitaria. Non c'è dubbio che noi ci siamo mossi in quella direzione contribuendo anche a livello nazionale, per lo meno per quanto riguarda la discussione fra le facoltà di Architettura, nella direzione della riforma, nello stesso tempo cercando di evitare anche una fuga in avanti; cioè di inventare il mito IUAV come è stato tante volte fatto in passato. Tutto il nostro problema in quanto direzione, anche politica e culturale, è stato quello di non continuare su una strada di invenzioni chiuse dentro lo IUAV.
Su questioni che ruotano attorno al problema dell'università come servizio regionale: ecco su questa parola d'ordine non possiamo che registrare un parzialissimo progresso e in fondo una sostanziale indifferenza. La questione è probabilmente dovuta anche al fatto della nostra scarsa disponibilità verso l'esterno. In questi tre anni, io credo, tutto lo IUAV e quindi me compreso si é molto rivolto alla riorganizzazione interna non avendo tempo e spazio per promuovere migliori e più complessi rapporti con l'esterno. Detto questo non c'è dubbio che il problema del servizio regionale di nuovo, era un problema che in qualche modo doveva investire una tematica politica e culturale a livello nazionale, soprattutto avendo questa Regione che abbiamo qua! Comunque non farei nemmeno il fazioso, credo che anche in Emilia si sarebbero trovate le stesse difficoltà. Si è andati a colpire, a individuare una questione di fondo, che poi nessuno tutto sommato fina ad oggi ha esaminato, ha rimesso in discussione e soprattutto nessuno ci ha lavorato sopra. Dalle nostre poche esperienze fatte, in particolare positiva quella di Ferrara, parzialmente positiva finalmente, quella di Venezia-Unesco-IUAV, appena avviata quella di Verona (con la mostra sul centro storico e il dibattito che ha avuto seguito), gli altri sono rimasti solo contatti: con Padova, con Adria, con Urbino ecc. Però cosa hanno messo in luce; hanno messo in luce appunto la difficoltà di spostare una pratica, proprio una pratica direi quotidiana che non é più nemmeno burocratica, una pratica fine a sé stessa che tutto sommato sia gli Enti locali che l'università hanno sempre adottato. Per gli Enti locali penso che molto spesso sia più utile avere rapporti con un professionista privato perché lo possono manipolare in qualche modo o ricattare, spostare questo ad una istituzione con i suoi tempi (che sono abbastanza simili a quelli del committente) significa che le due istituzioni per poter lavorare insieme hanno bisogno di un programma, e cioè ritornando alla questione generale, se non c'è programmazione la cosa rimarrà sempre parziale e volontaristica (come è stata anche nel nostro caso) e frammentaria. Cosa serve il volontarismo e l'azione frammentaria? Serve a dire: "si potrebbe fare in maniera diversa" più in là di quello non credo che vada molto, anche per altre esperienze. A Torino, per esempio, il Politecnico ha avuto un contratto con la Regione, a Roma la Regione ha fatto un contratto con la facoltà di Ingegneria, sono segnali di qualcosa che potrebbe essere usato in maniera diversa, naturalmente questo poi significherebbe che in qualche modo potrebbero cambiare le università e gli enti locali stessi. Per provare, quindi, resta a mio avviso, una parola d'ordine giusta che va portata avanti in sede di ridiscussione di eventuali programmi e anche qui tutto sarebbe stato facilitato, penso, se ci fosse sta to un maggior decentramento generale: le Regioni avessero svolto un ruolo ancora più autonomo anche dal punto di vista culturale e di iniziative, le leggi stesse quelle per esempio del recupero dei centri storici, per l'edilizia universitaria o quelle per la casa, se avessero avuto un loro punto focale di operatività a li vello regionale, anche l'università avrebbe potuto svolgere un ruoloMa quei punti della relazione del '76: progetto Venezia e Ricostruzione sono mancati di verifica!
Sulla questione di quanto dell'esperienza interna si è riusciti a trasmettere all'esterno, direi pochissimo.La scolarità di massa è stata duramente attaccata nel dibattito estivo provocato da Bruno Zevi. Questa sperimentazione quali indirizzi ha dato sull'università di massa e perché appare sempre un'isola felice" nel panorama nazionale - isolata in tutti i sensi - quando invece le questioni critiche poste dai professori Zevi e Benevolo e le loro esperienze universitarie - diventano "la situazione dell'università" ripresa e discussa su tutta la stampa nazionale? In questi dibattiti poi vince sempre l'idea del numero chiuso. Le esperienze sperimentali in corso non potrebbero diventare la risposta a questi attacchi? Quanto si è trasmesso all’esterno?
Non é stato sufficientemente analizzato da noi, e in fondo anche da me stesso. Nella relazione dell'altr'anno, dome indicavo ad esempio la debolezza della nostra presenza a Viareggio, che già era un campo di confronto. Non parliamo poi della presenza sulla stampa nazionale, appunto sulle questioni generali.Questo per quale motivo?
Agli inizi però ci sono state delle uscite sulla stampa nazionale.
Si. Qui in parte, secondo me, e si ritorna alla prima domanda, per quanti risultati, anche se limitati, si sono ottenuti in questi tre anni, c'è stato un impegno estremamente esteso nella didattica e nella riorganizzazione interna; questo anche per la particolare struttura dell'istituto, con questa strana figura del direttore che è anche preside, con un consiglio di amministrazione e un consiglio di facoltà, cioè di una struttura di finto ateneo, su una realtà di sola facoltà che solo negli ultimi anni è esplosa. In questo senso la mia relazione di quest’anno tenta di individuare livelli diversi anche istituzionali. Se io fossi stato veramente un rettore sarei stato uno come Benvenuti [rettore in quegli anni dell’università di Cà Foscari] che va da mezzogiorno alla una e mezzo, va ai convegni, va nelle istanze ufficiali, si fa vedere, saluta, invita a pranzo... Non dico che faccia solo quello, però tutto quell'aspetto promozionale, al limite pubblicitario o di veste, diventa anche scambi contatti, accordi; non c'è dubbio che questa attività per noi è stata estremamente ridotta e tutto sommato ha avuto dei risultati parziali proprio per rimbalzo di quanto stava avvenendo all'interno. Seconda questione che è strettamente collegata, ha due aspetti: non c'è dubbio, la questione che sollevano Zevi e Benevolo come in altri campi quelli che dicono che l'Alfa di Arese crolla per l'assenteismo o quelli che dicono che i porti sono tutti un disastro o che l'Aquila selvaggia paralizza, hanno più successo di quelli che si pigliano delle responsabiltà e salvano alcune situazioni particolari, come nel caso dell'aereo dirottato in Iran, quando si è trovato un altro personale di bordo che si è sostituito al precedente per sistemare le cose. Ecco le tesi di Zevi e Benevolo corrispondono a un luogo comune, non c’è dubbio! Detto questo però, c'è anche l'altro aspetto, che a mio parere è più grave, e che di nuovo si è rivelato in tutte le prese dì posizione ufficiali o anche personali sulla riforma universitaria. Gran parte dell'insabbiamento della riforma universitaria è avvenuto in quanto le istanze universitarie: erano scarsamente interessate alla riforma stessa. Avendo perso, gli studenti, una loro capacità di presenza e pressione a livello nazionale prima di tutto e poi anche a livello locale, avendo perso e frantumato tutta la questione dei precari, degli stabilizzati, degli stabili, ecc. Avendo frazionato le varie vertenze, lo stesso sindacato si è trovato in enorme difficoltà, le proposte sono state sempre più ambigue e più riduttive. Io ho partecipato anche a riunioni di docenti universitari comunisti e, all'interno stesso, non perché siano i migliori, ma perché per etichetta dovrebbero per lo meno essere i più progressisti o progressivi, c’è una buona percentuale a cui va bene l'università com'è, che credono ancora si possa cambiarla se anziché Scienza delle dottrine politiche si insegnasse Storia del marxismo; ecco per loro sarebbe già più progressiva di quella che c'era prima!
Si muovono solo sulla sfera culturale.
Certo, poi è una forma mentale che non fa che convalidare l'istituzione in quanto tale, la rende statica; questo sicuramente ha pesato moltissimo, tanto più quando poi si chiede, nell'ultima parte della domanda, se le esperienze sperimentali in corso non possono diventare le risposte a questi attacchi, io rispondo si, e possiamo constatarlo anche all'interno nostro dello IUAV; questo significa uno sforzo enorme di cambiare la sostanza disciplinare. La trasformazione poi significa trasformare anche quello che tu insegni e quello che tu sai, o sei curioso verso altre verifiche diverse da quelle a cui eri abituato prima. Quindi per esempio tanto per parlare delle Composizioni Architettoniche o della Progettazione Urbanistica, significa o dovrebbe significare la fine dell'autobiografia, nella ricerca di alcuni elementi comuni, non per abbassare l'insegnamento ma perché sono parametri diversi rispetto a quelli della scuola di sessanta, settanta persone qual era quella di quindici anni fa. Ora questo é un lavoro talmente grosso e in questo appunto la sperimentazione apriva la questione non per risolversi con gli studenti, ma per sperimentare il corpo docente stesso sul lavoro collettivo, aprendo al confronto di discipline diverse e quindi alla prova unica.
La prova unica è stata un grande obiettivo, ma poi al suo interno sono saltate fuori delle grosse questioni, è mancata assolutamente la volontà di andare avanti.
Certo, anche ridotto a questo piccolo settore rispetto a quello della prima domanda, significava di nuovo dover fare programmi, dover sapere su questi programmi chi ci lavorasse, come si verificavano gli obiettivi dei programmi stessi, se si erano raggiunti o no, perché no, o perché si. È il lavoro, e si ritrova il collegamento con la riforma universitaria, del tempo pieno, non c'é dubbio. Uno col tempo pieno è pure disposto a stare delle ore a concordare con gli altri, a fare dei programmi.
Ma la sperimentazione non è riuscita a trovare una formula intermedia: Il tempo pieno sarà la cosa che si avrà dopo tutte. Potrebbe non dare i frutti sperati.
Sì però aprirebbe anche al fatto che un docente dentro all'università, cosi come entra non può uscire dopo trentacinque anni, sempre con le stesse cognizioni; significa anche che il docente impara dentro l'università. Questa poi è la cosa importante; pochi docenti sono disposti ad ammettere questo, io però ritengo che il tempo pieno sia una condizione necessaria, anche se non sufficiente, però necessaria, altrimenti sarà sempre una finzione, un surrogato che di nuovo si rivolge solo alla buona volontà, a forme di volontarismo, oppure di impegno politico perché uno è di un partito di sinistra e vuole impegnarsi: sono sempre forme volontaristiche.
Vogliamo fare un esempio pratico: è stato edito un volumetto della facoltà di Roma intitolato "Quattro progetti per Pesaro" ed è una esperienza di ripresa del Piano Particolareggiato di Pesaro, realizzando alcuni progetti che si dimensionano rispetto a quel piano. E’ una cosa che forse può ancora essere accademica ma mi sembra, una possibile verifica di una sperimentazione su un Piano Particola raggiato condotta in maniera diversa. Queste esercitazioni allo IUAV non si sono mai fatte. Anche par altre esperienze sempre citate: Urbino, Ferrara...
C'è questa volontà di non mischiare le cose. È una questione di generazione, ossia la nostra generazioni sostituendo quella precedente ha anche cercato di scindere abbastanza le questioni professionali personali da quelle didattiche. In questo caso invece potevano coincidere in quanto quell'esperienza è stata fatta allo IUAV. Però, di nuovo, anche questo lavoro per poter dare risultati, oltre la buona volontà (che pure è ammirevole) aveva bisogno a sua volta di essere programmato, di dire questo ci vuole e questo non ci vuole più. Addirittura, poteva essere un ulteriore contributo all'amministrazione di Pesaro che conosce questo problema.
In quest'ottica il seminario internazionafie di Cannaregio Ovest, come esperienza condotta dallo IUAV e i lavori delle mostra "Università e città" sui prodotti degli studenti, che ruolo giocano come soluzioni per Venezia? -Esce una proposta collettiva maturata in tre ranni di sperimentazione?
L' obbiettivo è quello, per la mostra "Università e città", che si farà tre anni dopo quella del '76, (se verrà organizzata secondo uno schema che finora si è elaborato) di dimostrare la differenza dei prodotti in questi tre anni, ecco questo credo che sia all'oggi un punto interessante rispetto la mostra del '76 che era composta da monconi di problemi. Credo che questa mostra riesca ad affrontare, non dico tutti, sarebbe anche assurdo, alcuni settori: da quelli della indagine analitica a quelli del restauro, a quelli dei possibili interventi. Si riesce così ad affrontare alcuni settori di problemi e a dare un contributo. Secondariamente siamo in trattative con la Biennale per vedere se, d’accordo con il Settore Architettura, si può costituire, dopo questa mostra, un primo nucleo di archivio su Venezia, che dovrebbe essere collegato con l'archivio della Biennale. Questo obbiettivo accentuerebbe il carattere collettivo anche nel futuro di dare continuità e di non dargli questo aspetto estemporaneo. Per la mostra su Cannaregio Ovest direi che la risposta è no. Cioè la cosa di Cannareggio Ovest aveva, e non a caso poi si sta diluendo nel tempo, (probabilmente si recupera in contemporanea con quell'altra e va benissimo) l’obiettivo di coinvolgere il Comune o perlomeno una sua adesione. Allora chiedemmo che diventasse dibattito per una forma diversa di vedere all'estero Venezia oltre che di vederla in Venezia, che non fosse la proposta dei magazzini Stucky e quindi in questo senso si scelsero persone di culture diverse legandole a un tema preciso. Si doveva avere una risposta da parte della città, questa non c'è stata.
Si tendeva anche ad affrontare il problema per Venezia e un po' anche per i centri storici di sostituzione o meno di manufatti?
Si, a seconda delle proposte, non erano tutte omogenee, anzi, proprio per essere tutte variate potevano aprire a problemi generali. La cosa più grave, secondo me, e questo anche se si farà a marzo, è che rimarrà una questione interna di una cultura dello IUAV rispetto a certi centri americani o a certe persone europea. La mancata rispondenza dell'amministrazione Comunale ad aprire questi problemi è dovuta al fatto che non ne aveva interesse, e questo è bene chiarirlo, anzi c‘è stata una marcia indietro notevolissima dicendo, (era sempre sotto il ricatto Benevolo-Cervellati-Unesco) "tutta zona A, guai a chi la tocca". L'Amministrazione Comunale non aveva ancora fatto le ossa sulle proposte che ora sono in corso e che io considero estremamente positive. Purtroppo, il seminario su Cannaregio ha subito la strozzatura di questo mancato interlocutore. Allora va benissimo che siano dodici architetti che si confrontano tra loro e perché no, può diventare una cosa ludica, in fin dei conti non siamo così vecchi! Quello che poteva essere una occasione di proposta, all'oggi non mi sembra che ci sia, può essere poi he a marzo invece esca fuori.
Perché si tenderebbe a renderlo momento di dibattito, per uscire con proposte al limite con “provocazioni" rispetto al Comune?
Si, di dire: la città di Venezia è un laboratorio eccezionale e non siamo tanto ignoranti o stupidi da non saperlo, però il farne un laboratorio che non può muoversi o su cui non c'è nulla da dire, non serve; abbiamo poi dei materiali conoscitivi improvvisati, estremamente primitivi e la ricerca Unesco-IUAV sta dimostrando che non si conosce quasi niente della struttura fisica di -Venezia. Su Venezia, e già sarebbe un grosso risultato, si dovrebbe discutere, intervenire, fare delle proposte come su qualsiasi altra città d'Italia, certamente, tenendo conto delle sue particolarità. Come se io intervenissi a Bruges, a Siena, che per di più hanno problemi molto più elementari e delicati di Venezia.
Questo potrebbe anche emergere con gli elaborati degli studenti
Infatti, volevamo farle nello stesso periodo proprio perché fosse un confronto che ampliasse il dibattito. Tra l'altro è anche abbastanza interessante che quel tanto di materiale parziale che le tre commissioni delle - ricerca Unesco-IUAV-Comune hanno già elaborato, esca nella mostra. Cerchiamo di collegare il tutto perché non sono attività separate, fanno parte di un patrimonio, questo in che misura diventa collettivo... Speriamo di si!
È una iniziativa che si costruisce in quell'occasione, con quelle scadenze...
Si può dire che non c'è finora mai stata.
Per la mancanza di programmi?
Si, e anche per i soldi, diamo anche ai soldi la loro importanza.
Ma questa sperimentazione, queste mostre e iniziative, questo seminario annuale non sono mai stati momenti "conflittuali" di battaglia politica per il ruolo della scuola nella città e nella regione. Lo possono diventare?
Io direi che la risposta può essere positiva se il tutto diviene a livello di ateneo e per questo rivendichiamo ancora la questione dell'unificazione dei due Atenei e di nuovo senza miti, senza credere ai miracoli, però riteniamo ancora oggi, ancora adesso che la unificazione dei due Atenei potrebbe significare appunto, dare "unità" ai vari problemi, non solo a quelli importantissimi spiccioli di migliori servizi, di miglior uso delle attrezzature, d i unificazione amministrative, ma proprio come figura politico-culturale dentro la città; l'Ateneo è quello.
L'anno scorso dopo il seminario di Preganziol con la presenza di Benvenuti e poi l’uscita sulla stampa locale c'era stata una dichiarazione del tipo: "Sarà l'anno all'unificazione". Quest'anno mi pare, non sia pensata e forse neanche attesa come l'anno scorso; tra l’altro alcune scelte di Ca' Foscari_, come il corso di laurea in storia, la ventilata attivazione di un dipartimento, sono scelte che per ora contrastano con una ipotetica unificazione. Quando questa unificazione potrà essere fatta?
Riconfermo la già citata frase di Henry James: "gli affari a Venezia non possono concludersi se non con molta pazienza", forse lo sono tutte le città medie in cui rimbalzano alcune decisioni subito e poi ci si brucia immediatamente, però Venezia ha proprio una caratteristica pazzesca in questo senso, dove tutto viene macinato, diluito. Il grosso problema è di non farlo scomparire: già il fatto che a sei anni diciamo unificazione, secondo me è un contributo a tentare di modificare la situazione; comunque, ci sono anche dei segni positivi, lo spostamento in atto del laboratorio di Scienza e chimica industriale é in questa direzione. Addirittura, lunedì 22 ottobre andremo a firmare il consorzio Ca'Foscari-IIJAV-Unesco4. Per il laboratorio fotogrammetrico, e questa la considero una indicazione di come alla struttura universitaria si possa andare fuori attraverso altre strutture. Che diventano in qualche modo autonome, pur conservando il legame con l'università. A questo consorzio è richiesta la partecipazione di Comune, Provincia, Regione, Ministero dei beni culturali, probabilmente da quel consorzio stesso si articolano poi le possibilità di adesione dei due corsi di storia nostro e quello di Ca' Foscari; sono indicazioni di tendenza che, a mio parere, ricordando da dove siamo partii, indica con estrema lentezza (troppa), con grande difficoltà (anche questa troppa), che... Eppur si muove, qualcosa cambia. Per ultimo penso che debba subentrare un’altra generazione, un'alta classe dirigente. Da noi in questi tre anni è cambiato tutto lo staff direttivo mentre a Ca' Foscari ci sono ancora grosse resistenze generazionali, di età, senza offendere gli anziani di cui faccio parte! Nella politica dei fatti, per me che sono profondamente materialista, è inutile fare l'appello ai sentimenti e ai principi, ci vuole un interesse da parte di molti ad individuare nell'unificazione un grande fatto politico, e culturale, ma anche un miglioramento delle proprie condizioni di lavoro e della propria presenza nella vita della città. I fatti concreti devono essere moltiplicati, con la mostra dobbiamo cercare di collegarci alla Biennale, con il Consorzio ci siamo collegati, si tratta di moltiplicare queste cose, allora diventa assurdo chi si oppone.
Certo è meglio avendo una struttura sulla quale dichiararsi e confrontarsi. Ma alcuni docenti di questa scuola sembrano pessimisti sulle possibilità di una scuola di massa diversa. Altri vorrebbero tornare al numero chiuso d all’università selettiva. Non sembrano poi molti i docenti interessati a questa esperienza. Anche il professore Indovina_ con le sue dimissioni denuncia una "caduta” di tensione della sperimentazione. È diversa a suo avviso la situazione?
Secondo me significa (come del resto abbiamo cercato di avere adesioni totali a livello dei presidi, ma i presidi sono i presidi e le facoltà sono le facoltà) che nessuno o pochissimi si siano resi conto che, e questo vale anche a livello nazionale per le eventuali proposte di riforma, la sperimentazione non è una concessione una-tantum, per vedere cosa cambia. La sperimentazione se viene portata fino in fondo nelle linee come la avevamo tracciata (e non è stata portata fino in fondo) significa che ha carattere permanente. La grande novità fra l'università di prima e l'università di dopo potrebbe essere quella che l'università di dopo è sempre sperimentale: se prima faccio sperimentazione e poi ricostituisco un bello statuto sapendo che per cinquant'anni non avremo più rottura di coglioni, no! La sostanza reale della sperimentazione è che ogni anno, non dico uno cambia tutto; quello sarebbe il caos. Ma ogni aggiunta o conquista può inserirsi, anzi deve diventare elemento sul quale lavorare ulteriormente. Questa è la sperimentazione scientifica, sulla quale lavorano milioni di persone al mondo e non si sentono frustrate, anzi, sentono che migliorano. Certo, chi viene mezz'ora alla settimana, la cosa più comoda per lui è che sia una mezz'ora fissa, che trovi l'aula libera, che ci sia il bidello!
Quindi anche la sola richiesta di organizzazione potrebbe significare che uno preferisce avere mezz'ora la settimana piuttosto che...
Certo, tutto il reclutamento sicuramente fino alla mia generazione, ma anche fino a quelli che oggi hanno trentacinque anni (che pure sono ottimi elementi) è stato fatto in quella forma di università che dicevamo prima, non tanto part-time, che significa metà-metà, ma addirittura "decim-time", (non so come si può dire) che poi è stato l'uso “e mo ce vò” come dicono in meridione, che la D.C. in primo luogo ha fatto dell'università: tutti i ministri sono professori universitari, si danno le cattedre per contentare chi ti fa i favori da un'altra parte . Potete chiedere a Roggero, preside di Torino, cosa è stata la telefonata di Donat Cattin per mandare in cattedra uno, cosa è stata! Ma a livelli da Donat Cattin, cioè o fai così o ti faccio una interrogazione in Parlamento. Questo poi è quello che non esce mai fuori, altro che Benevolo e Zevi!
Questa poi è la situazione di dibattito al senato e alla camera!
Cosa vogliamo che persone entrate così trasformino l'università! Anzi, se si potesse fare un bel numero chiuso così sai quanti ne hai...il tanto giustamente rimpianto onorevole Aldo Moro, quando diceva: "Io anche capo del governo, tutte le mattine vado in facoltà a fare lezione dalle otto alle nove”, beh, mi fa ridere, certo perché c'è l'università organizzata in modo che tu capo del governo puoi fare lezione dalle otto alla nove e poi fare il capo del governo. È questa l'università?! È l’uso di una stazione!
Una situazione che non accetta il conflitto, che non accetta discussione.
Sulla quale è nata la crisi dell'università, crisi che è andata avanti su queste cose importantissime. Per quanto riguarda le dimissioni di Indovina non entro nel merito, erano complesse, anche sul piano personale. Cosa indicano, secondo me, indicano un po' tutti i problemi che abbiamo discusso, che é un po' il tentativo di questo seminario. Le tre delibere votate all'unanimità non so quanti si siano accorti che di fatto liquidano lo IUAV, se fossero portate fino in fondo, IUAV in quanto mito, scuola, istituzione, Samona, Scarpa, Aymonino! Queste delibere tentano una organizzazione tutta diversa e in fondo, io credo, che le dimissioni di .Indovina sarebbero forse state diverse, o forse non sarebbero avvenute se quella 'titolazione di passare tutti attraverso una giunta federativa e poi calare nelle singole cose svuotando la partecipazione, desse un po' di responsabilità ai sili livelli istituzionali di cui alcuni andranno bene e alcuni vanno male, cosa che succede dappertutto, nelle università, ma anche fuori, nell'amministrazione, succede nelle imprese, succede... Invece c'è sempre questa paura che non si riesca a tenere tutto in piedi, tutto contemporaneamente valido e va bè, pazienza! Ci sono zone più al sole e zone più in ombra, però perché questo avvenga bisogna che ci sia molta più autonomia dei dipartimenti, molta più indipendenza dei corsi di laurea rispetto al consiglio di facoltà, molto più impegno della struttura direttiva e sarà la giunta, il direttore, quel che sarà.
Il movimento studentesco con questa sperimentazione, sì mosse in termini propositivi e di "maturità comprensiva" Questa linea non ha dato però molti frutti volte addirittura è stata "usata" questa "comprensione" degli studenti. Le enunciazioni della partecipazione e della democrazia non dovrebbero aprire verso una autentica presenza degli studenti?
Sulla "maturità comprensiva", sono perfettamente d’accordo: è stata assolutamente utilizzata almeno mi sembra, per quel tanto che io riesco a controllare da qua e non controllo molto...
Allo IUAV c'è stato un livello di contestazione che non ha avuto niente a che fare con quella del '77 di Bologna; ha avuto un livello totalmente diverso, una specie di indicatore. Da noi la situazione era già in movimento non c'era bisogno di scrollarla in modo così radicale, per cui mi pare che rispetto questa sensibilità, che andrebbe ripresa poi in positivo, ci sia stata una risposta nella sperimentazione, nella didattica, nello IUAV di beffa verso gli studenti, riducendo il rapporto studenti-docenti a pratica ambulatoriale.
Si, per esempio le lettere di protesta sui professori Villa e Gregotti vengono a me invece che i direttori di dipartimento. Questo conferma la confusione che noi abbiamo facilitato, in particolare io dovendo dirigere in un momento di trasformazione profonda, accentrando una serie di questioni, essendo uno che vuole raggiungere dei risultati. Insomma, non sono capace di godermi anni di contemplazioni ci tramonti! Quindi ho anch'io come la giunta, confermato e diffuso l'impressione di confusione dei livelli e delle istanze anche tra gli studenti. Tutto sommato lo IUAV ruota intorno alle decisioni del direttore e della giunta. Il Consiglio di Dipartimento e il Consiglio del Corso di Laurea non contano niente e qui credo che gli stessi studenti non siano mai intervenuti nei Consigli di Dipartimento e nei Consigli dei Corsi di lauree.
La nostra presenza assumeva a volte dei caratteri grotteschi.
Abbiamo anche gli animali esotici che sono presenti!
Secondo me quei brandelli di movimento studentesco o di gruppi di studenti che ci sono, credo che a loro volta non abbiano rielaborato sufficientemente le trasformazioni in corso, dove inserirsi, quali erano i punti di rivendicazione pesante e dura, in fondo anche gli studenti hanno avvalorato il mito dello IUAV tutto unitario, dove l’assemblea deve essere di tutti. Che assemblea di tutti! Se fossimo un Ateneo ci sarebbe una Facoltà di Architettura, una Facoltà di Urbanistica, quelli di Urbanistica andrebbero a un'assemblea di urbanistica e quelli di Architettura ad una di Architettura; oppure quattro o cinque facoltà, come potrebbero essere i dipartimenti attuali, in cui si avrebbero tanti settori di azione...ecco questo è il nodo attorno al quale secondo me bisogna lavorare nei prossimi anni ed è li la possibilità o meno di trasformazione; se non avviene diventiamo la facoltà di Roma: un cesso! , una cosa senza senso dove uno, ogni gruppo, ogni singolo, ogni cosa dovrebbe darsi una sta struttura propria. A quanto dice Giorgio Ciucci, che vi ha tenuto una lezione, é diventata una facoltà di peripatetici.
I Dipartimenti dovevano uscire con dei bollettini di informazione e di attività anche per questa mancanza, la partecipazione studentesca ne ha poi risentito. Ma in ogni caso la fiducia nelle proposte di una facoltà "avanzata" è stata eccessiva. Una pratica di rincalzo è sempre più produttiva!
Oppure non è esclusa una forma così dilata, di istituzione, di luoghi decisionali. Può essere o che gli studenti si frantumano, o costituiscono, come abbiamo fatto noi nell’immediato dopoguerra un proprio e autonomo elemento antagonista che per esempio nel nostro caso si chiamava Consiglio di Facoltà degli studenti. Noi eravamo dodici rappresentanti degli studenti che andavano al Consiglio di facoltà, ci riunivamo attorno a un tavolo, noi d qua e loro di là, anche sui problemi generali; oppure il sindacato...
Come è stato anche negli anni ’60. Però le ultime proposte delle organizzazioni giovanili sono state le dimissioni generalizzate da qualsiasi parlamentino rappresentativo. Infatti, l’errore di questi parlamentini è stato quello di introdurre una forma contestativa, nata nel ’68, normalizzandola nell’istituzione con rappresentanti, rompendo l’innovazione e rendendo questi studenti, rappresentanti di sé stessi e di nessuno.
Si, da lì può nascere se non diventa puramente fuga negativa, che essendo diversi gli interessi, si ha bisogno di una istituzione autonoma che non è dentro l’istituzione ufficiale, ma che ha sue leggi.
Quale sarà la politica delle sedi, che fine faranno Cà Tron e Preganziol? Cos’è successo delle Terese? E rispetto ai servizi, oltre la reperibilità dei posti alloggio, c’è anche l’intenzione di controllare qualitativamente mense e alloggi per gli studenti?
L’obiettivo generale è quello di dare possibilmente a ogni istituzione o comunque a ogni gruppo d’istituzioni una sede anche fisica: Cà Tron è quello che è, va completata in tempi più rapidi possibili che comunque saranno nove mesi, un anno; è confermata la destinazione d’uso per Economia e Pianificazione. A Badoer va Storia e la Biblioteca; ai Tolentini i due dipartimenti di progettazione e tutta la parte direttiva; Preganziol è abbastanza indecisa, ne rimarrebbe comunque l’utilizzazione. Per le Terese posdomani 18 ottobre, andremo dal notaio a fare la convenzione con l’Opera universitaria, dopo passerà interamente all’università, tranne probabilmente una quota parte di quattrocento milioni che giustifichi i lavori di cui siamo finanziati dal ministero.
Il progetto delle Terese è stato approvato?
Non lo so. Credo di si, anche se poi nessuno condivide quell’impostazione. Nuovo capitolo sarà comunque il passaggio alla Regione dell’opera universitaria: la politica dell’assistenza sarà quindi di competenza regionale.
Però il passaggio è slittato di un anno!
Si, ma il Decreto è già in corso; quindi, quest'anno servirebbe per il passaggio delle consegne. Sarebbe molto utile e interessante se da questo passaggio si adottassero quegli strumenti che abbiamo chiesto da un sacco di tempo, di non fare un settore separato dell'assistenza studentesca, ma di inserirlo nell'insiemi dei problemi di mense e alloggi per i lavoratori. Già c'è un'iniziativa che ha preso Milano dove le mense sono accessibili a chiunque.
L'uso sociale della mensa a Venezia è stata anche una proposta di alcuni studenti di Pianificazione. II dipartimenti così strutturati avrebbero dovuto definire specificità disciplinari e offerte culturali in modo più preciso. Nel campo della disciplina architettonica mi sembra che nel momento in cui, attraverso la prova unica ad esempio, si è chiesta una precisa identità e posizione culturale sull'architettura non si è saputo rispondere. Come mai? Perché ci si è fermati?
La mia risposta é perché manca una teoria dell'insegnamento dell'architettura, manca una revisione critica dei modi dell'insegnamento, ed è il settore che dorrebbe essere più investito dal passaggio dall'atelier all'insegnamento di massa. Gli studenti hanno criticato che il Gruppo Architettura si è fermato a individuare i confini entro i quali comincia a essere necessaria l'architettura, senza avere la capacità di andare avanti usando quello stesso metodo per definire anche i confini entro i quali è l'architettura. Si tratta di tutto un lavoro di catalogazione, comparazione e di nuovo analisi: i portici non sono infiniti; se io prendessi tutti i portici realizzati, forse troverei trenta esempi diversi; ci saranno quelli con pilastri tondi, con pilastri quadrati, con pilastri a V (quando viene Niemeyer o Breuer).Noi abbiamo questa idea che l'architettura sia infinita, ma le finestre non sono infinite, le porte non sono infinite, sono ancore quelle uguali a tremila anni fa, un pochino più alte (la statura media dell'umanità è salita). A Micene ci sbatto, qui non ci sbatto, ma non è che è tanto diverso.
Alcune cose tutto sommato, non per fare il positivista o fare Viollet le Duc, si possono diffondere, organizzare, nella cognizione che non è importante se uno fa un progetto bello o brutto. Si dovrebbero fare delle esercitazioni su questi elementi, ma esercitazioni come sono quelle di musica, di solfeggio; si tratta di mettere insieme una finestra, una porta, un ingresso, un tetto, che non significano gli elementi costruttivi, ma la capacità di comporre! Girando l’Italia, per esempio, uno può fare delle bellissime lezioni illustrando come una cosa è stata massacrata; vediamo per esempio tutti gli ospedali che sono stati costruiti in questi dieci. Anni, andiamo a esaminarli uno per uno, che cessi, che spreco, che follie anche di soluzioni architettoniche; perché poi gli architetti si lagnano sempre di avere troppe costrizioni, indicazioni, limiti, da parte della committenza, ma basta girare l'Italia per dire: "Accidenti, hanno ancora troppa libertà, guarda che troiate che fanno!". Quindi se non c'è lavoro di ricerca, si ritorna alla autobiografia che, a mio parere, è un elemento negativo, perché è una salvezza temporanea.
Nella relazione di quest'anno pare misurata con più realismo la potenzialità questa sperimentazione. Come pensa vadano affrontate le questioni dei profili professionali, pensati indicatori di sbocchi occupazionali nuovi e diversi?
Sapendo organizzare tutti gli arricchimenti, le complicazioni, le articolazioni, le differenziazioni che sono avvenute in questi anni, la cosa importante è che le facoltà di architettura gestiscono un ventaglio di differenziazioni (non le chiamo nemmeno specializzazioni) di cui non ci si rende conto nell'organizzazione degli studi e nel tipo di laurea. Secondo me è forse rimasto l'unico settore universitario che ha ancora questo ventaglio. All'università di Viterbo, dove sono nel comitato tecnico, ci occupiamo di agraria e agraria ha già dieci titoli diversi; perché non lo può avere architettura?! Cominciamo con i tre, va benissimo, dorrebbero essere dieci: direttore di cantiere, gestione, ecc..., senza che uno per butta la vita debba fare quello, ci sono le occasioni della vita o ulteriori studi che è la questione dell'aggiornamento attraverso l'università.
Al Consiglio di Facoltà per l'elezione del nuovo direttore lei non si ripresenterà. È solo una questione di ricambio o una specie di rinuncia?
È una questione di ricambio. Tra l'altro con la mia personale opinione che potrebbe essere una verifica della maturità di quanto si va costruendo, nel senso che per una istituzione stabile, ci deve essere anche una notevole alternativa a livello direttivo. Impariamo dai democristiani con i loro capi di governo, sono sempre gli stessi da trent'anni, ma si alternano, si muovono e ciò significa che la situazione è stabile. Lo IUAV esce dal mito degli anni '60, il cambiamento che è avvenuto in una direzione positiva ha due aspetti: uno di maggior collegamento con la città (basta con il pendolarismo almeno a livelli direttivi); l'altro, la fine dell'identità tra personaggio e direzione, quindi la direzione diventa una struttura.
Allora se ne va solo per ricambio?
Sì, ma anche per evitare il fallimento economico da parte mia. E questo va scritto!